Troppo furore, signor Franco!

Dal romanzo di William Faulkner L’urlo e il furore, trent’anni di storie intrecciate degli ultimi membri di una grande famiglia decaduta del Sud degli Stati Uniti. Presentato fuori concorso a Venezia, e accompagnato da un prematuro premio alla carriera a James Franco – che si è esibito con cranio rasato e tatuato sul red carpet, e se ne faceva anche a meno – The Sound and the Fury, sua seconda incursione nell’opera di Faulkner dopo As I Lay Dying, è purtroppo un’occasione mancata, per colpa della cattiva intesa tra il regista e l’attore principale: James Franco, e… James Franco.

The Sound and The FuryIl romanzo di Faulkner (definito dal suo stesso autore “un vero figlio di puttana… e il più grande che scriverò mai”) è estremamente complesso, difficile da rendere cinematograficamente; ma l’efficace sceneggiatura di Matt Rager rispetta e ne segue con buona fedeltà la struttura, se pure con parecchie semplificazioni e omissioni probabilmente necessarie per le funzionalità della pellicola (il tema della religione è assente, quelli della proprietà della terra e del potenziale incesto sono appena suggeriti).

The-Sound-and-the-FuryIl film ricalca infatti la suddivisione in capitoli in prima persona, secondo i punti di vista dei tre fratelli (il quarto capitolo del romanzo, in terza persona, è stato integrato nei precedenti); e anche dal punto di vista della sintassi, dopo un primo, voluto, momento di spaesamento viene rispettata con sufficiente chiarezza la non linearità temporale dei primi due episodi, nel secondo dei quali si ricorre alla figura del padre per rendere lo sconnesso soliloquio del personaggio di Quentin.

La fotografia è curata, con alternanza di toni caldi e freddi per rendere i diversi momenti e punti di vista, e la ricostruzione d’epoca complessivamente coinvolgente; la regia di James Franco è competente e in grado di tenere le fila del complesso ordito – se non si facesse prendere la mano dal suo attore principale: lo stesso Franco, nei panni di Benji, il fratello disabile protagonista del primo episodio.

La parte di un disabile è un’occasione ghiotta per un attore: c’è anche chi ha ne ha cdn.indiewire.comricavato un Oscar. E non dubito che il makeup e i comportamenti del personaggio riflettano con realismo la situazione di alcune persone in queste condizioni (anche se non ricordo che nel libro Benji fosse descritto con un aspetto così estremo). Ma un film vive di equilibri: e la recitazione di Franco , così sfigurato, così sopra le righe con i movimenti del corpo e le espressioni del viso, non è funzionale al film: non tanto perché disturba ma soprattutto perché distrae. Sotto la guida di un altro filmmaker, si sarebbe probabilmente moderato, e negli altri episodi dimostra di avere pieno controllo degli altri attori; ma nel doppio ruolo non riesce a evitare l’autocompiacimento… con il risultato di squilibrare e danneggiare gravemente il film.

Peccato. Come dicevo, un’occasione mancata.